Il corpo vissuto

Leonardo Da Vinci: Studi anatomici di una spalla, 1509. Royal Library, Windsor.

Il corpo per la medicina e le neuroscienze è una realtà anatomica e fisiologica, da cogliere in termini oggettivi, quantificabili, misurabili. Il metodo delle scienze naturali, però, se si presta a studiare l’organismo nei suoi aspetti fisiologici, biochimici, genetici, non ci dice nulla sul “Chi”, sull’esperienza che l’essere umano vive in prima persona, sulla carne che io sono.

“Se si isola il corpo dall’esistenza, se lo si astrae dal suo vissuto quotidiano, ciò che si incontra non è più la corporeità che l’esistenza vive, ma l’organismo che la biologia descrive” (Galimberti, 2011).

In psicologia e psicoterapia, il corpo non può essere ridotto a organismo biologico, piuttosto è l’unico luogo possibile dell’esperienza, senza il quale non potrei sentirmi come me stesso e sentire mia l’esperienza che faccio ogni volta. Allo stesso modo, l’apertura al mondo è possibile in quanto siamo soggetti incarnati (Merleau-Ponty, 1945).

Il corpo, dunque, nella sua accezione più carnale (Leib), non è mero organismo, ma dimensione originaria senza la quale non si costituisce una presenza nel mondo. Il sentirsi in un certo modo, in rapporto al mondo che si manifesta ogni volta è prima di tutto un sentirsi carnale.

Quando il corpo si fa sentire?

In condizioni di normalità fisiologica il nostro corpo è silente e anonimo (Merleau- Ponty, 1945; Sartre, 1943), è sensorialmente “muto” (Lorenzi, 2009), nel senso che “c’è e basta”. In realtà esso invia segnali fisiologici, i quali però non si impongono alla nostra attenzione.

Noi siamo preriflessivamente consapevoli della sua esistenza (Liccione, 2011), c’è e basta, è il nostro esserci (Merleau-Ponty, 1945), muto testimone della nostra esistenza.

In diverse situazioni però il nostro corpo perde la sua condizione di anonimato, passando dal ‘corpo che sono’ al ‘corpo che ho’. 

Nella vita quotidiana, ad esempio, una malattia fisica, una condizione di dolore, ma ancor più banalmente uno sforzo fisico o la sensazione della fame, nel rompere questo silenzio, inducono a focalizzarsi sui segnali enterocettivi. 

Esistono poi diversi disturbi psicopatologici caratterizzati da una centralità del corpo e da modi peculiari di viverlo. 

Nei disturbi del comportamento alimentare il corpo diventa l’unica possibilità certa per sentirsi, in assenza dell’Altro (di un’altra persona significativa). Le sensazioni di fame e vuoto diventano un modo per continuare ad avvertirsi, nel momento in cui la mancanza dell’Altro fa venire meno questa possibilità. 

Nell’ipocondria la persona si focalizza in modo eccessivo sulle componenti somatiche, muscolari, scheletriche, le quali vengono lette come segnale di malattia, anziché alla luce della situazione o dell’esperienza emotiva. Ad esempio, la tachicardia, che può essere dovuta ad uno sforzo fisico oppure ad una situazione di tensione o stress, viene invece interpretata come segno di un infarto incipiente.

Nell’isteria la manifestazione a livello corporeo è tanto più intensa quanto più è forte il bisogno di essere al centro dell’attenzione.

Cézanne: Il dolore, 1866. Museo d’Orsay. Parigi

Come cambia il nostro modo di sentire il corpo nell’arco della vita?

Considerato il ruolo che ha il corpo vissuto (il mio corpo vivo), a seconda del modo di sentire il proprio corpo (cioè delle sensazioni e emozioni) corrisponderà un diverso modo di manifestarsi del mondo e delle possibilità d’azione e passione.

In particolari momenti del ciclo di vita (adolescenza, gravidanza, invecchiamento), la nostra esperienza subisce una profonda modificazione, sia per l’emergere di un nuovo modo di avvertire il proprio corpo sia per un dispiegarsi di nuove possibilità o al contrario una chiusura di possibilità prima date. 

Particolare attenzione merita la condizione esistenziale nell’invecchiamento, caratterizzata da un profondo cambiamento del corpo vivo e della progettualità: il corpo balza in primo piano e costringe la persona a mettere in discussione tutto ciò su cui aveva sempre mantenuto il senso di stabilità personale. In tale situazione il decadimento fisico porta il corpo a uscire da una situazione di silenzio e anonimato. Il corpo perde quel carattere di “disponibilità”, di apertura verso il Mondo, non è più accessibile per l’attuazione dei propri progetti esistenziali. Il sentirsi vecchi ha inizio proprio quando la fisicità non è più libertà di movimento, ma si sperimenta un senso di debolezza, di fragilità, di incapacità a realizzare le possibilità più proprie, fino a quel momento accessibili. È calzante la metafora di Lorenzi, che paragona il corpo a un “conto bancario a cui, fino a un certo punto, possiamo attingere senza troppa cura”.

Nell’anziano questa possibilità viene a mancare, la fisicità diviene un fardello, un peso, un ostacolo che inevitabilmente obbliga a modificare e a ridimensionare i propri progetti.

Questo nuovo modo di sentirsi, configurato in termini di fragilità e debolezza personale, può portare a una sintomatologia depressiva (Arciero e Bondolfi, 2009).

Sono proprio la stabilità e l’inequivocabilità di questo nuovo modo di vivere il corpo a rendere unica l’esperienza dell’invecchiamento. Infatti, come abbiamo sopra accennato, è comune sperimentare il proprio corpo come “malato”, non più silente, ad esempio quando proviamo un dolore fisico. In tal caso, la parte dolorante diviene oggetto di attenzione, mi disturba e mi limita nelle mie possibilità e nei miei progetti. Se ho mal di schiena, nel partecipare a una lezione che mi obbliga a stare seduto diverse ore, avvertirò il corpo come un peso, un impedimento al realizzarsi delle mie possibilità (ascoltare la lezione e trarne il massimo profitto). Ovviamente, non mi apparirà come appetibile la possibilità di fare sport con un amico, finché il dolore non sarà scomparso. Si tratta di una situazione transitoria, che non blocca il mio poter-essere (le mie progettualità) in modo definitivo e irrimediabile; il ripristino della condizione di salute e normalità determinerà una riapertura di tutte quelle possibilità che mi erano precluse.

Al contrario, nella persona anziana, la fragilità fisica, poiché permanente, impatta l’identità, il sentirsi sempre se stesso in ogni situazione; infatti, è proprio nella quotidianità che sono incontrate le difficoltà: dallo sport, ai viaggi, dall’attività sessuale al giocare con i nipotini. I cambiamenti legati all’invecchiamento obbligano a un riposizionamento, in linea con le sopraggiunte limitazioni e con le possibilità ancora attuabili.

L’esistenza è un insieme di possibilità: nel momento in cui vengono meno quelle su cui l’individuo manteneva il senso di stabilità personale, essa subisce una battuta d’arresto, frena. La riduzione di possibilità d’azione che si verifica nell’invecchiamento ha dunque ripercussioni sull’identità della persona.

La perdita del ruolo sociale

Un altro aspetto che segna l’individuo a livello identitario è il ritiro dal mondo lavorativo; in questo senso, non una limitazione del corpo vissuto, che chiude delle possibilità, ma il crollo di un orizzonte d’attesa (la realizzazione lavorativa, un certo ruolo sociale) che si ripercuote sull’esistenza dell’anziano.

Seppur in misura variabile da individuo a individuo, il pensionamento e il ritiro dall’attività lavorativa rappresentano un incrinamento del senso di stabilità personale. Il venir meno del proprio ruolo sociale e di conferme importanti per l’identità – oltre che la riduzione dei contatti sociali – può portare a un ritiro dal mondo e a un ripiegamento sul corpo, su di sé. Il corpo diviene quindi l’ultima spiaggia prima del disgregarsi del senso di identità (Lorenzi, & Agresti, 1996; Pazzagli, Cabras, & Benvenuti, 1985). Il mondo dell’anziano, divenuto lontano, difficile, ostile, oppressivo, incalzante nelle sue esigenze, si riduce sempre di più e, spesso, arriva a essere confinato al proprio corpo; così, è frequente una maggiore – eccessiva – focalizzazione sui bisogni corporei. Quando le possibilità più autentiche vengono a mancare, i bisogni del corpo diventano il fine di un’esistenza (Lorenzi, 2009).

Da un lato, il corpo balza in primo piano – con sensazioni di fragilità, debolezza, pesantezza – e viene identificato come un limite, espressione dell’incapacità a realizzare le proprie possibilità (Lorenzi, 2009). Dall’altro, anche in conseguenza di una tappa obbligata come l’abbandono lavorativo, emerge un nuovo modo di essere nel mondo, che costringe a riprogettarsi. 

Ciascun essere umano, in presenza di una malattia o un disturbo fisico, è obbligato a riposizionarsi sul proprio corpo. Nell’anziano, ovviamente, questo assume una portata di maggiore rilevanza, anche perché accade contemporaneamente ad una riduzione di possibilità altre e dunque di mondo. Inoltre, con l’avanzare dell’età, si assiste ad un’aumentata frequenza delle malattie che colpiscono l’organismo.

Si arriva dunque a “vivere per il proprio corpo” e non “con” esso, ad un progressivo ritiro al corpo stesso (Galimberti, 1983). Allo stesso tempo, solo il corpo consente di mantenere un contatto con il mondo, in particolare con quella parte di mondo che ha a che fare con il proprio corpo malato (medici, indagini ed esami, assistenza sanitaria). Così il corpo richiede attenzione; ma si tratta di un corpo reificato e oggettivato, da cui l’individuo sembra prendere le distanze. Questa presa di distanza lo rende più accettabile per chi lo vive e più accessibile e manipolabile per chi lo cura (Lorenzi, 2009), in modo da permettere ad altri di intervenire (Benvenuti, 2000). Lo stesso linguaggio medico tende a escludere il vissuto soggettivo e la sofferenza della persona e a considerare solo ciò che è strettamente somatico. La medicina, infatti, impone la sua visione del corpo come oggetto e sollecita i pazienti a presentare i sintomi seguendo questa concezione.

Gli orizzonti d’attesa e il lavoro terapeutico

L’esperienza di una persona, con l’avanzare dell’età, va ben oltre i problemi fisici che colpiscono il corpo, proprio perché ad una modificazione della fisicità si accompagna sempre un vissuto soggettivo, in questo caso più che mai cruciale per comprendere l’esistenza dell’individuo.

E avere accesso al mondo dell’anziano è possibile solo a partire da una riflessione sulla temporalità e sull’alterazione del tempo con l’invecchiamento.

Da quanto finora esposto, emerge l’importanza di considerare i cambiamenti che si verificano nell’invecchiamento come un nuovo modo di fare esperienza, a cui corrisponde l’appalesarsi di un mondo svuotato, impoverito di molte possibilità.

Un percorso terapeutico può offrire un supporto volto al riposizionamento di fronte alle limitazioni sopraggiunte, attraverso la riappropriazione di un nuovo modo di sentirsi, l’abbandono dei progetti non più propri e l’apertura di possibilità maggiormente identitarie. L’obiettivo è l’accettazione di una condizione che si è progressivamente stabilizzata, fino a un momento decisivo in cui la persona non può più prescindere da una riconfigurazione identitaria del suo modo di sentirsi e da una riprogettazione.

Gli orizzonti d’attesa che si prospettano in questo caso sono a breve termine, ravvicinati, perciò meno articolati rispetto a quelli di una persona di giovane o mezza età, ma rimangono comunque ciò a partire da cui l’individuo si sente e mantiene il senso di stabilità personale. La persona può essere supportata a coltivare gli interessi e le passioni ancora attuabili e ad aprirsi a esperienze adeguate alle proprie capacità e condizioni. 

Inoltre, un aspetto importante è il mantenimento dei contatti sociali, l’apertura all’altro, molto spesso minati dalla tendenza della persona anziana al ritiro e alla focalizzazione sul proprio vissuto fino alla coincidenza del mondo con il proprio corpo. Importante è anche, nel caso in cui le difficoltà sperimentate nella quotidianità non fossero state adeguatamente colte e accettate, che il terapeuta aiuti la persona ad appropriarsi del diverso modo di essere nel mondo che caratterizza l’età senile.

Bibliografia:

Arciero, G., & Bondolfi G. (2009). Sè, identità e stili di personalità. Torino: Bollati Boringhieri, 2012

Benvenuti, P. (2000). Psicologia e Medicina, problemi e prospetive, Carrocci Ed., Roma. 

Galimberti, U.(1983). Il corpo. Milano: Feltrinelli Editore.

Galimberti, U. (2011). Psichiatria e fenomenologia. Milano: Feltrinelli editore

Lorenzi P. (2009). Il corpo vissuto. Psicopatologia e clinica. Firenze: Seid Editori. 

Merleau-Ponty, M.(1945), Fenomenologia della percezione. Milano: Studi Bompiani, 2003. 

Pazzagli, A., Cabras, P. L., & Benvenuti, P. (1985). Agire e ammalarsi. Il corpo come strumento per evitare la sofferenza mentale. Neurologia, Psichiatria, Scienze Umane, Suppl.1, 32-39. 

Sartre, J.P.(1943), L’essere e il nulla. trad.it. Milano: Mondatori, 1958.